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Rapporto di coppia: chiedere scusa serve davvero?

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In un rapporto di coppia, serve davvero chiedere “scusa” al proprio partner?

Partiamo dalla definizione di coppia, o meglio, di coppia che funziona: si tratta di una relazione nella quale i partner strutturano obiettivi comuni, si prendono cura l’uno dell’altro senza pretese e senza invadere i rispettivi spazi privati, supportandosi costantemente per una crescita individuale e della coppia stessa.

Alla base di molti litigi e discussioni troviamo proprio il non rispetto di queste poche, ma purtroppo difficili, regole da seguire.

Tutti noi – chi più chi meno – siamo vittime di una norma sociale basata su una tremenda, e totalmente disfunzionale, dinamica mentale: percepire i rapporti in termini di giusto-sbagliato, bravo-cattivo, bianco-nero, corretto-scorretto, ragione-torto.

Di conseguenza, la regola non-scritta che si struttura all’interno di molte coppie è che, al termine di una discussione, bisogna necessariamente trovare un colpevole, colui o colei che ha sbagliato, il “cattivo” della situazione.

Questo genera, ovviamente, solamente ulteriore malessere, principalmente per un unico importante motivo: difficilmente durante una discussione si ammette di avere una colpa, anzi, si cerca in tutti i modi di supportare la propria tesi, anche con modalità comunicative disfunzionali (quali alzare la voce, usare parolacce, ferire l’altro).

Questo dettaglio è fondamentale da comprendere e da tenere bene a mente poiché ogniqualvolta due persone sono emotivamente attivate, cioè sono in uno stato di tensione, difficilmente riescono a ragionare e a relazionarsi, perché la parte del cervello che ha preso il controllo della situazione è quella interna, cioè quella rettiliana, che per milioni di anni ci ha permesso di sopravvivere nella savana, dove i pericoli avevano la forma di grosse tigri con i denti a sciabola. E le uniche strategie che questa parte del cervello conosce sono: attaccare, fuggire, rimanere immobili.

Altra trappola nella quale si cade è quella di pretendere le “scuse”: come dicevamo poc’anzi è molto difficile, se non impossibile, ammettere di aver sbagliato, ancor più difficile diventa chiedere “scusa” durante o al termine di una discussione.

Questa pretesa molto spesso disattesa, non fa altro che riaccendere la discussione, un po’ come buttare benzina su un fuocherello non ancora spento, e non aiuta di certo a calmare le acque né a placare gli animi, già in tumulto e provati.

Inoltre, alcune volte, potremmo addirittura rischiare di ricevere “scuse” non sincere, non sentite, magari dettate solo dal senso di colpa o dal desiderio di dare un “contentino”, per terminare in fretta il diverbio.

Cerchiamo ora di capire, soprattutto, se il chiedere “scusa” sia davvero così importante ed efficace.

Partiamo da una premessa: esse sono una norma sociale, un comportamento insegnatoci da bambini. Quando eravamo al parco e davamo una spinta a un altro bambino, arrivava uno dei nostri genitori e ci diceva: “Chiedigli scusa!”. Oppure: “Chiedi scusa al nonno”, “chiedi scusa alla maestra”, “chiedi scusa, scusa, scusa”.

E così, passando per centinaia di interazioni, questo meccanismo di risposta è diventato quindi un automatismo quando accade qualcosa percepito come “sbagliato”.

Perché questa modalità è, almeno come primo approccio comunicativo durante o dopo una discussione, completamente inefficace?

La risposta è semplice: le “scuse” non prendono assolutamente in considerazione lo stato d’animo, il dolore, il dispiacere, di chi dovrebbe pronunciarle. Chi le pretende si sente ferito, certo, ma perde di vista che anche il partner, quando si litiga, è a sua volta sofferente e non sempre disposto a mettersi in discussione.

Se desideriamo ricucire uno strappo e concludere positivamente un battibecco, le soluzioni sono due: ammettere le proprie responsabilità e avere pazienza.

Cerchiamo di capire insieme perché questo modus operandi è molto più efficace e costruttivo.

Ammettere di avere delle responsabilità implica un grado di maturità tale da mettersi in discussione e capire cosa possa aver ferito o irritato il partner, in modo tale da evitare il riproporsi dello stesso problema o delle stesse dinamiche.

Il concetto di responsabilità esula dalla dinamica “colpevole-non colpevole” e non prevede che ci sia per forza qualcuno che ha sbagliato e qualcuno che ha subito, un vincitore e uno sconfitto. Queste sono dinamiche infantili-adolescenziali che non dovrebbero persistere in coppie adulte. In un rapporto maturo l’importante, come detto, è la crescita reciproca: aprire la caccia al colpevole è tutto tranne che evolutivo. Questo riconoscimento permette anche di dare il buon esempio al partner, che magari ha più difficoltà nel fare introspezione.

Anche questo, in ogni caso, necessita di tempo. Pretendere questa ammissione immediatamente è insensato: tutti noi abbiamo bisogno di un momento per riflettere, per comprendere meglio noi stessi e l’altro. Per questo ci vuole pazienza, ci vuole il giusto tempo anche per riportare lo stato emotivo a un livello dove il controllo della situazione torni a essere quello della corteccia prefrontale, grazie alla quale è possibile fare ragionamenti logici, provare di nuovo empatia e quindi ricostruire la rottura.

Il secondo passo è far sentire compreso il proprio partner, ovvero, si dice comunemente in psicologia, “validare la sua esperienza”. Ma cosa significa nella pratica? Dobbiamo far percepire, realmente e sinceramente, all’altro/a che abbiamo capito il motivo per il quale si è arrabbiato, per il quale si sente ferito e per il quale si è intavolata la discussione. Si tratta quindi di comprendere quale sia stata la sua esperienza e quali siano state le circostanze che lo hanno portato a sentirsi emotivamente in un certo modo.

In questo caso un “mi dispiace” è molto più potente poiché è sincero. In una coppia che funziona, basata sull’amore, il dispiacere per la sofferenza dell’altro dovrebbe essere alla base del rapporto, al di là di chi possa aver torto o ragione o del tema caldo affrontato.

Come è possibile notare, anche questo passo esula dal concetto di “giusto-sbagliato”, “bravo-cattivo”. Comprendere l’altro è un atto di grande maturità, che ci permette di capire come relazionarci al meglio.

E le “scuse”, quindi, servono o non servono?

Le scuse servono e sono funzionali solo nel caso in cui vengano realmente compresi ed effettuati tutti i passaggi precedenti.

In conclusione possiamo affermare che le “scuse” non sono inefficaci di per sé, ma possono essere un’ottima modalità comunicativa solo se seguono queste poche ma semplici regole:

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