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Psicologia e Cinema: “Il Corriere – The Mule”… un’alienazione americana

Scopriamo insieme “Il Corriere”, una delle ultime creazioni del celeberrimo Clint Eastwood, in veste sia di attore sia di regista.

A cura di Sara Alicandro – scrittrice, cinefila e saggista dello spettacolo

Supervisione e approfondimenti: Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

Un film è, di fatto, un viaggio, un viaggio narrativo, plasmato da immagini e parole. Le opere di Clint Eastwood… quelle sì che sono viaggi dal dinamismo travolgente: non sempre il percorso è rappresentato in maniera esplicita, ovvero nel senso fisico e visivo del termine; più spesso, invece, Eastwood ci dimostra che anche quello che è invisibile agli occhi può evolvere – o involvere – e lo fa presentandoci personaggi in continua trasformazione, che troveremo sensibilmente cambiati al termine delle sue storie.  

La trama (con un po’ di spoiler)

Ne “Il corriere” sono contemplate entrambe le dimensioni: il film rappresenta un vero e proprio percorso interiore del suo protagonista, l’anziano Earl Stone (Clint Eastwood). Nella maggior parte delle sequenze vediamo Earl alla guida di un van, e non a caso proprio in quel mezzo avvengono i più grandi cambiamenti della sua vita. All’inizio della storia, Earl è un floricoltore di 80 anni che, per non affrontare il senso di inadeguatezza che prova nella realtà del nucleo familiare, si dedica per la maggior parte del tempo al suo lavoro, trascurando moglie e figlia.

Dopo 12 anni di definitivo silenzio con queste ultime, Earl perde il lavoro e gli viene proposto un impiego per cui deve soltanto essere disposto a guidare senza sosta. Ignaro del fatto che diventerà un corriere di droga per conto di un cartello messicano, accetta. Pirandellianamente, Earl crede che questa folle fuga dalla sua vecchia vita potrebbe un giorno dargli la forza di ricostruire tutto e rimediare ai suoi errori. Ma, senza rendersene conto, si ritroverà in un circolo vizioso dal quale non può uscire senza rischiare di essere ucciso, e più soldi accumula più sente di avvicinarsi alla redenzione e al perdono della famiglia. In questo frangente, Earl rappresenta il perfetto esempio di americano schiavo di una mentalità consumista che l’ha costretto a vergognarsi di qualcosa di cui non aveva colpa, ovvero di aver dovuto chiudere bottega.

Il film raggiunge delle deliziose note comiche, seppur amare, nei momenti in cui Earl si rivela per l’anziano ingenuo che è, ad esempio quando canta in macchina e i trafficanti, in ascolto, non riescono a non seguirlo a ruota. Tutto questo lo rende insospettabile, un moderno Raskol’nikov: esattamente come l’eroe di “Delitto e Castigo”, Earl commette un terribile crimine in uno stato quasi febbrile, lo tiene come segreto per un lungo periodo e poi, proprio nel momento in cui qualcuno cerca di alleviare la sua pena, lui non riesce a non liberarsi del peso della sua colpa, una colpa che aveva messo a rischio tutto quello che amava e aveva sottovalutato per troppo tempo.

Il significato psicologico

Dunque il capolavoro di Eastwood, oltre che essere una critica costruttiva alle falle del sistema americano – come si rivelano essere gran parte dei suoi film, altri esempi sono Richard Jewell (2019) e Fino a prova contraria (2002) – si rivela anche una favola un po’ dark che narra di come un uomo, anche passando per le più impensabili e spericolate vicende, può guardarsi dentro e scoprirsi cambiato, perfino al termine della sua vita.

Questa potrebbe essere la risposta definitiva a chi costruisce alibi su alibi pur di non lavorare su sé stesso, a chi pensa che un percorso di crescita (nello studio di uno psicoterapeuta e non solo) abbia una data di scadenza e dopodiché subentra la fatidica maschera del “io sono fatto così”.

Nessuno è uguale a sé stesso, mai, fino alla morte e forse nemmeno dopo. È sempre necessario investire energie e risorse nella nostra vita, evitando di fuggire costantemente dai pericoli e quindi dall’evoluzione personale. Svestiamoci da tutte quelle maschere autoimposte dagli altri o dalla società, solo così potremmo trovare il nostro vero “Io”, lo stesso che Earl ha cercato, forse invano, nel suo ultimo disperato viaggio.

A cura di Sara Alicandro – scrittrice, cinefila e saggista dello spettacolo

Supervisione e approfondimenti: Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

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