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Psicologia Zen: il sovrano e il braccio rotto

Leggiamo oggi un racconto Zen: il sovrano e il braccio rotto, che ci insegna l’importanza di imparare a valutare ogni situazione, anche se negativa, sotto tanti punti di vista.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

Il sovrano di un antico regno aveva l’abitudine di farsi sempre accompagnare da un fidato e saggio consigliere.

Ovunque egli andasse, il consigliere era sempre al suo fianco, cercando di ispirargli ottimismo e proponendo una visione positiva della vita.

Un giorno, il re cadde da cavallo e si ruppe un braccio. Ordinò quindi ai suoi servi di mandare a chiamare subitaneamente il consigliere.

“Guarda cos’è successo al mio braccio!” urlò dolorante, non appena lo vide.

Il consigliere lo guardò e, dopo aver riflettuto qualche secondo, rispose:

“E’ una buona cosa mio signore”.

Il sovrano andò su tutte le furie.

“Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?! Mi sono rotto un braccio!” iniziò a sbraitare.

Chiamò quindi le guardie.

“Prendetelo e chiudetelo in prigione per un mese, così da insegnargli il modo rispettoso per parlare al suo re!”.

Così quindi fu deciso.

I giorni nel mentre passavano e il sovrano iniziava pian piano a guarire.

Decise una bella mattina di riprendere a cavalcare e, preso dall’entusiasmo considerando che il suo braccio faceva sempre meno male, si allontanò di molte miglia fuori i confini del suo regno.

Lungo la via, purtroppo, venne attaccato da una tribù di indigeni, che lo disarcionarono e lo portarono legato e imbavagliato al loro villaggio.

Il re era terrorizzato! Aveva sentito parlare di questi uomini… ed erano cannibali!

La sua vita stava per concludersi in questo modo? Mangiato vivo? O magari cucinato?

Mentre gli indigeni preparavano il fuoco, uno di loro si avvicinò al sovrano e lo guardò con attenzione. Non appena vide il braccio fasciato, iniziò a urlare qualcosa ai suoi compagni.

Il re non capiva cosa stesse accadendo.

Dopo vari minuti, i cannibali decisero di liberarlo, quindi lo slegarono e lo fecero montare a cavallo, indirizzandolo verso casa.

Durante il tragitto di ritorno, il sovrano cavalcò incredulo e pensieroso: come mai lo avevano liberato?

Poi se ne ricordò, come se avesse avuto un’illuminazione! Per quella tribù era vietato uccidere e mangiare una persona ferita: sarebbe stato per loro un atto sacrilego.

In quel momento il re cominciò a riflettere su quanto fosse stato fortunato e così gli tornarono alla mente le parole del consigliere: “Questo è un bene mio signore”.

Dopo molte ore di cavalcata, tornò quindi al suo castello.

La prima cosa che fece fu chiamare le guardie, così che potessero far uscire di prigione il suo fidato consigliere.

“Oh, saggio consigliere” esclamò non appena lo vide.

“Vostra Maestà” rispose egli, inchinandosi.

Il Re gli raccontò quindi tutta la sua disavventura, fortunatamente con il lieto fine.

“Sei stato così buono con me, per tutti questi anni, e io ti ho rinchiuso in prigione per un mese! Ero così arrabbiato con te, che non capivo cosa tu volessi insegnarmi”.

Il consigliere rifletté un attimo, poi rispose.

“Mio signore, non dovete dispiacervi. Tutto questo è stato un bene anche per me. Se io non fossi stato in prigione, vi avrei accompagnato a cavallo come sempre e i cannibali avrebbero sì liberato voi, a causa del braccio rotto, ma avrebbero mangiato me!”.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

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