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Psicologia e Guerra: non è una partita di calcio!

La guerra genera tifoseria: è questa la triste realtà. Persone che tifano per o contro una fazione, sperando che l’altra venga sconfitta. Una dinamica umana, che dovrebbe però modificarsi.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

A quasi due mesi dall’inizio del conflitto in Ucraina, sembra che ancora non si intraveda una fine. I due eserciti (ucraino e russo) continuano a darsi battaglia, scontrandosi per la conquista di città e di territori, aumentando ogni giorno il numero dei morti, tra militari e civili.

Come sempre, ci tengo a precisare come questo mio articolo non abbia l’obiettivo di fare un’analisi geopolitica ed economica bensì, piuttosto, di concentrarsi su aspetti prettamente psicologici.

Come mai, durante una guerra, si creano le tifoserie?

Costantemente bombardati da notizie di ogni genere sulla guerra – che arrivano nelle nostre case attraverso numerosissimi canali, quali tv, internet, radio, passaparola – è quasi impossibile non farsi condizionare, psicologicamente ed emotivamente, e non farsi influenzare riguardo il nostro personale punto di vista sul conflitto.

I media tendono generalmente a veicolare le informazioni, creando, molto spesso, divisioni precise, nette e stereotipate, tra buoni e cattivi, tra bene e male, tra giusto e sbagliato.

L’essere umano inoltre, per sua natura, ha un bisogno atavico di dover ordinare nella propria mente le notizie apprese, creandosi delle categorie ben distinte, utili per meglio immagazzinare ed elaborare le nuove informazioni ricevute.

Non solo: tendenzialmente, ogniqualvolta abbiamo la sensazione che ci manchi un “pezzo” del puzzle, invece di ricercarlo autonomamente preferiamo ascoltare la fonte più immediata, così da rispondere a un naturale bisogno di comprensione e di “chiusura del cerchio”. La mente umana, per definizione, è pigra, lavora in modalità “risparmio energetico” e ama dunque semplificare, anche se ciò potrebbe creare schemi di pensiero non del tutto veritieri, ma indubbiamente più facili da gestire.

Questi meccanismi, interni ed esterni a noi, generano quindi una tendenza a voler dar vita a delle fazioni, identificando in una i “buoni” e nell’altra i “cattivi”.

Come se stessimo guardando una partita di calcio, molto spesso si fa il tifo per una delle due parti, sperando che una possa essere presto sconfitta e che la nostra preferita possa invece vincere con risultati schiaccianti.

La vittoria di un esercito comporta la morte dell’altro…

Guidati da un istinto di morte – il famoso “Thanatos” di cui tanto parlava Freud – gli esseri umani desiderano inconsciamente vedere i propri nemici morire. Ecco che allora il solo percepire uno dei due eserciti come il “nemico”, il “cattivo”, porta a fantasticare molte persone sulla sua sconfitta, giustificando il tutto con frasi del tipo “così la guerra finalmente finisce”.

Forse pochi si rendono conto che la vittoria di una fazione è possibile solo grazie, e irrimediabilmente, alla disfatta dell’altra, con conseguente aumento del numero di morti. In guerra, vincere vuol dire uccidere il nemico. Non è una partita di calcio, nella quale segnare più gol dell’avversario non comporta, fortunatamente, la morte dei giocatori dell’altra squadra.

Purtroppo, questa semplice informazione sembra non voler entrare nelle menti di molte persone: come tifosi, alziamo le bandierine dell’una o dell’altra nazione (giallo-blu o rosse), e speriamo che i militari di un esercito possano uccidere i militari dell’altro, come nel Risiko.

La realtà, ahimè, è che la vittoria si ottiene solo consumando delle vite.

Più che la vittoria, dovremmo desiderare la pace

Usciamo, dunque, da rigidi schemi preconfezionati e stereotipati. Poco importa chi sia il “buono” e il “cattivo”. In un conflitto, chiunque imbracci un fucile, non è mai innocente.

Lasciamo ai potenti la maledizione della guerra e concentriamoci sul desiderare la pace… desiderare con tutto il nostro cuore che questo nero periodo della nostra storia possa presto terminare.

Schierarsi, senza una valida motivazione, contribuisce solamente nel nostro piccolo ad alimentare il malessere collettivo, sempre più diffuso.

Se proprio desideriamo tifare per qualcosa, facciamolo per la pace, scevra da ogni preferenza.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

Nell’ottica di una sana ed etica diffusione della cultura, si invita a citare la fonte e l’autore di questo articolo nel caso si desideri condividere – in tutto o in parte – il contenuto.

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