Riccardo Faggin è morto la notte del 29 novembre a causa di un incidente d’auto. Il tutto dopo aver mentito sulla sua laurea. Cosa ci insegna questa storia?
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
Riccardo Faggin, ragazzo di 26 anni, ha perso la vita la notte del 29 novembre 2022 a causa di un incidente d’auto.
Il giorno successivo, Riccardo avrebbe dovuto discutere la sua laurea in scienze infermieristiche presso l’Università di Padova, o almeno questo è quello che credevano i suoi familiari dal momento che la facoltà ha smentito che il ragazzo dovesse laurearsi.
Secondo il racconto del padre, il figlio sarebbe uscito di casa per allentare un po’ la tensione. Quello che però è accaduto successivamente rimane ancora un mistero.
“Ancora non lo sappiamo con precisione. Intorno alle 22 ci ha detto che sarebbe andato con gli amici in un locale di Montegrotto per distrarsi, perché era un po’ teso per la laurea dell’indomani. In realtà abbiamo scoperto che il bar a quell’ora era già chiuso da un pezzo. Era una piccola bugia”.
Il genitore, durante un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha poi detto che Riccardo aveva iniziato a nascondere i suoi risultati universitari alla famiglia: non comunicava più i voti ottenuti, affermava di aver dato esami quando in realtà non era così, aveva detto di star scrivendo la tesi ma si rifiutava di farla leggere. Tante piccole bugie, per mascherare una grande sofferenza interiore.
La pressione sociale
In attesa che le indagini possano giungere alle opportune conclusioni per far luce sulla tragica scomparsa di Riccardo, come psicologo posso senza dubbio affermare come questa vicenda sia, purtroppo, figlia di una pressione sociale che molti ragazzi sentono sulle loro spalle.
Troppo spesso, anche involontariamente, le famiglie hanno la tendenza a puntare molto sui risultati ottenuti dai figli, senza porre invece la giusta attenzione alle loro vere passioni.
Inoltre, viviamo in una società che sembra ci ricordi costantemente il tempo che scorre, che mette in bella mostro solo coloro che ce la fanno o che ottengono successi senza pari, sminuendo invece le storie di vita di ogni giorno, che rappresentano il 99% dei casi.
Riccardo si è sentito molto probabilmente in trappola da una pressione sociale asfissiante e, questo, lo ha portato nel tempo a mentire a sé stesso e alla sua famiglia.
Molti studenti si tolgono addirittura la vita a causa di ciò. Cosa sia accaduto al ragazzo 26enne, se si sia trattato di un tragico incidente d’auto o di un suicidio, ancora non ci è dato saperlo. Ciò che risalta, ahimè, è la palpabile sofferenza di una famiglia la quale, ora, ha perso un figlio.
Consigli per i genitori
Lo stesso padre di Riccardo esprime un mea culpa.
“La responsabilità, semmai, me la sento addosso. Mi rimprovero di non aver saputo leggere i segnali, di non avergli insegnato a essere più forte, almeno ad avere quella forza che serve per chiedere aiuto. Provo vergogna come genitore, e non faccio che ripetermi che vorrei essere un po’ più stupido per non ritrovarmi a riflettere sui miei sbagli, a ragionare sul fatto che forse avrei potuto incidere di più sulle sue scelte”.
Quando un genitore perde un figlio, il senso di colpa fa da padrone. Si inizia a pensare a cosa si è potuto sbagliare e quali segnali di aiuto non sono stati colti.
Il consiglio che posso dare, per evitare che accadano tali tragedie, è quello di lasciare liberi i propri figli di scegliere il loro percorso universitario, senza condizionarli, senza obbligarli (magari per rispetto di tradizioni familiari) o per puntare al successo economico a discapito delle proprie passioni.
Lasciamoli inoltre liberi di sbagliare, lasciamo che un esame andato male possa non pregiudicare il bene che vogliamo per loro o la stima nei loro confronti. Un figlio vale a prescindere, il voto di un esame è solo un numero.
Spesso, la paura di deludere i genitori diventa un peso insormontabile.
Ricordiamo loro, costantemente, che non esistono tempistiche di vita programmate, che nessuno è in ritardo né in anticipo. La pressione sociale, che si basa sull’idea che ogni cosa debba essere fatta seguendo degli step predefiniti, va assolutamente alleggerita, se possibile eliminata.
Apriamoci al dialogo, facciamo capire che possono comunicare sempre con noi o, se lo desiderano, con un esterno. Cogliamo, dunque, i segnali di aiuto che ci inviano.
© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari
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