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La tragedia del sottomarino Titan: come mai ha colpito la nostra mente?

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La tragedia del piccolo sottomarino Titan ha sconvolto il mondo. Come mai ha colpito così tanto le nostre menti?

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

Ormai è ufficiale: i passeggeri del sottomarino Titan non ce l’hanno fatta. A darne la notizia, dopo cinque giorni di estenuanti ricerche, è la Guardia Costiera statunitense, che ha comunicato che il mezzo sarebbe imploso, provocando quindi la morte di coloro che erano all’interno.

Ripercorriamo la vicenda, per comprendere come mai questa storia ci ha colpito così tanto da un punto di vista psico-emotivo.

L’inizio

Tutti conosciamo il Titanic, il famoso transatlantico affondato nel 1912 nell’Oceano Atlantico a causa dello scontro con un iceberg. Da questa storia sono stati tratti anche diversi film, tra cui la multipremiata pellicola di James Cameron del 1998.

Oggi, il relitto è adagiato a circa 4.000 metri di profondità sul fondo del mare.

Da diverso tempo, l’azienda OceanGate organizza viaggi turistico/scientifici per scendere negli abissi e visitare la nave.

Per farlo, viene utilizzato un piccolo sottomarino sperimentale denominato Titan, in grado di trasportare fino a cinque persone.

I costi di questo viaggio si aggirano intorno ai 250.000 dollari: un’esperienza sicuramente unica, adrenalinica, costosa ma anche pericolosa, e riservata solo a persone di un certo ceto sociale.

La tragedia

Il 18 giugno 2023, il sottomarino Titan inizia la sua immersione, con a bordo cinque persone: Stockton Rush, patron di OceanGate, Hamish Harding, businessman miliardario e specialista della missione, Paul-Henri Nargeolet, il pilota, Shahzada Dawood, uomo d’affari, e il figlio 19enne Suleman.

Qualcosa, purtroppo, va subito storto. Il sottomarino non invia più segnali alla nave madre e viene dato per disperso.

Iniziano quindi immediatamente le ricerche. Il mezzo potrebbe essere in avaria, incagliato nel relitto della nave, bloccato sul fondo dell’oceano o in altre critiche condizioni.

L’area da controllare è davvero molto vasta: parliamo di 20.000 km quadrati, senza contare anche il fondo marino profondo 4.000 metri.

A bordo, ci sono riserve di cibo e acqua davvero limitate e, dettaglio fondamentale, la quantità di ossigeno è sufficiente per sole 96 ore.

Nonostante l’impegno profuso e la quantità enorme di mezzi utilizzati (navi e aerei delle Guardie costiere statunitensi e canadesi, una rompighiaccio della Guardia costiera canadese, aerei da pattugliamento marittimi Poseidon P-8 e CP-140 Aurora, velivoli militari per la lotta antisommergibile, droni subacquei a controllo remoto, boe sonar, mezzi privati della OceanGate), dopo cinque giorni di estenuanti ricerche, il 23 giugno 2023 arriva la comunicazione ufficiale: il sottomarino è imploso e i passeggeri non sono sopravvissuti.

Come mai questa vicenda ci ha colpito così da vicino?

Come mai una tragedia del genere ci ha colpito così da vicino, stimolando la nostra mente, portandoci a riflettere su numerosi e delicati argomenti?

Senza addentrarmi nelle cause tecnico-scientifiche che hanno portato al disastro, e che riservo a esperti di altri settori, vorrei fare un’analisi di quelle che sono state le caratteristiche psico-emotive della vicenda.

L’importanza storica

Ogni volta che si parla del Titanic c’è sempre una soglia di attenzione più alta del normale. Il disastro del transatlantico affondato, infatti, è entrato ormai a far parte del nostro immaginario collettivo come una delle tragedie più famose di sempre e che rievoca nella nostra mente, ancora oggi dopo più di un secolo, un mix di paura, curiosità, macabra spettacolarità dell’evento e sgomento. Ecco perché la notizia del piccolo Titan, avendo a che fare con una delle navi più famose del mondo, ha avuto questo particolare risalto mediatico.

L’idea della morte

Ogniqualvolta si parli di morte, il nostro inconscio viene stimolato e incuriosito. Una dinamica del tutto umana, studiata ormai da decenni, che prevede un’inconsapevole attrazione verso la drammaticità, le tragedie, la morte. Non è un caso che, nei telegiornali ad esempio, venga dato particolarmente risalto alle notizie di cronaca nera e che le trasmissioni televisive più seguite siano quelle di criminologia. Essendo, quindi, la vicenda del Titan a stretto contatto con l’idea di morte, essendo a rischio la vita di cinque persone, la nostra mente si è attivata molto più del normale, portandoci a voler seguire la storia da vicino.

La spettacolarizzazione delle ricerche

I media, dal canto loro, hanno raccontato la vicenda in una maniera simil cinematografica, degna dei migliori film di fantascienza sottomarina, dandoci quindi la sensazione di essere lì presenti e assistere al susseguirsi degli eventi. Aggiornamenti continui, spiegazioni tecnico-scientifiche, aerei, navi, robot che si avvicendavano per portare avanti le ricerche, hanno contribuito a rendere, il tutto, molto più immersivo e partecipativo per lo spettatore curioso.

L’immersività

Moltissimi canali mediatici hanno contribuito a spiegare, nel dettaglio, cosa stessero vivendo le vittime all’interno del sottomarino, focalizzandosi sulla loro sofferenza e sottolineando la precarietà dell’ossigeno e delle riserve di cibo e di acqua. Tutto questo ha fatto sì che molte persone esterne abbiano potuto immaginare di essere davvero lì, immergendosi anch’esse nella vicenda.

La conoscenza delle vittime

Dare un nome e un volto alle vittime rende, purtroppo, la tragedia molto più drammatica. Sapere chi ha perso la vita (o stava per perderla), ha contribuito a un senso di vicinanza empatica con l’accaduto, stimolando nella nostra mente sensazioni ed emozioni come tristezza, vuoto, perdita, incredulità.

Il ceto sociale delle vittime e le loro passioni

Le cinque vittime appartenevano a un alto ceto sociale, parliamo infatti di businessman miliardari. Questa loro caratteristica ha contribuito ad alimentare accesi dibattiti, tra chi criticava a gran voce questo sperpero di denaro pur di vivere simili esperienze e chi, invece, è riuscito a mantenere un sano distacco dalle critiche. Non solo: la loro passione per l’avventura estrema ha anche creato diverse fazioni nell’opinioni pubblica, tra chi seguiva la filosofia “ognuno è libero di fare ciò che vuole” e chi invece pensava “se la sono cercata, ben gli sta”.

Riflessioni conclusive

Ogni volta che si parli di tragedie e di morte, la mente umana viene iper-attivata e stimolata.

Nulla di cui preoccuparsi. Non siamo strani o abbiamo una patologica passione per il macabro: il nostro inconscio è naturalmente attratto da simili argomenti.

Questa vicenda, in ogni caso, dovrebbe farci riflettere sull’importanza della preservazione della vita: quanto davvero vale la pena mettere in gioco la propria sicurezza pur di fare simili esperienze?

Quanto è giusto, d’altro canto, criticare le scelte di altre persone, solo perché appartengono a un ceto sociale diverso dal nostro e possono permettersi attività a noi precluse?

Quanto è giusto rendere una tragedia così spettacolare, come se fosse un film d’azione da seguire al cinema?

Domande che, forse, non avranno mai risposta, ma che spero possano stimolare la riflessione di qualcuno.

Nel mentre, posso solo augurarmi che tutto questo possa servire da insegnamento.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

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