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Marco Magliozzi – Psicologo Bari

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L’omosessualità è una malattia mentale?! Certo che no!

Novembre 9, 2022 By Marco Magliozzi

L’ambasciatore del Qatar ha dichiarato che l’omosessualità è una malattia mentale! Come mai in alcuni Paesi del mondo viene ancora considerata tale?

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

Nella giornata di ieri (8 novembre 2022), durante un’intervista rilasciata all’emittente televisiva tedesca Zdf, l’ambasciatore del Qatar per i Mondiali di Calcio Khalid Salman ha dichiarato: “Accetteremo tutti coloro che verranno nel nostro Paese, ma loro dovranno accettare le nostre regole. L’omosessualità è haram (ovvero proibita secondo l’Islam, ndr). È una malattia mentale”.

Parole davvero forti, indubbiamente fuori luogo (per l’epoca in cui viviamo) ma, ahimè, in linea con la cultura di appartenenza di colui che le ha pronunciate.

CLICCA PER LEGGERE L’INTERVISTA DELL’AMBASCIATORE DEL QATAR

Cos’è l’omosessualità

Per omosessualità si intende un’orientamento sessuale che comporta l’attrazione emozionale, romantica e/o sessuale verso individui dello stesso sesso.

L’omosessualità è presente nella specie umana fin dall’antichità: in moltissime culture, come ad esempio quella ellenica, veniva liberamente vissuta alla pari dell’eterosessualità. Nei secoli è stata poi condannata, vista come un peccato, addirittura punita.

A partire dal XX secolo, l’omosessualità è stata gradualmente “riabilitata”, fino ad essere normalizzata e considerata come un qualcosa del tutto in linea con la natura umana, almeno in quasi tutte le nazioni del mondo.

Purtroppo, nonostante siamo giunti nel 2022 e a grandi passi nel III millennio, in molti Paesi permangono ancora leggi che considerano l’omosessualità un crimine, adottando anche pene severe, tra cui la addirittura la pena di morte.

La Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia

Il 17 maggio 1990 l’omosessualità viene depennata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come malattia mentale ed eliminata dall’International Statistical Classification of Diseases (ICD), uno dei più grandi manuali psicodiagnostici inerenti ai disturbi psichiatrici.

Questa data viene tutt’oggi ricordata come simbolo del riconoscimento dei diritti civili della comunità LGBTQ+, celebrando quindi annualmente la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.

Ma allora, perché le dichiarazioni dell’ambasciatore del Qatar? Capiamolo insieme

Nella cultura islamica non esiste un termine per identificare l’omosessualità. Secondo l’Islam il rapporto carnale si discosta da una dimensione prettamente fisica e viene visto come una connessione spirituale tra due persone: per questo il concetto stesso di orientamento sessuale perde quindi di senso, in quanto l’attrazione deve avvenire principalmente a livello trascendentale e non da un punto di vista fisico e corporeo.

Ciò che viene condannato nello specifico è invece il rapporto sessuale che prevede la penetrazione anale (anche tra un uomo e una donna).

Perché questo?

Questo atto viene considerato come un sacrilegio, come un gesto di dominazione di un uomo sull’altro. Solo Dio può dominare l’uomo e la sottomissione stessa, di conseguenza, diventa un atto possibile solo di fronte a Dio. 

L’Islam preferisce infatti utilizzare il termine “sodomia”, anche se nella cultura occidentale è una parola ormai obsoleta.

Nonostante venga condannato solo l’atto sessuale, nelle comunità musulmane si è comunque instaurato il concetto di crimine contro la moralità pubblica che ha, negli anni, alimentato spirali di omofobia e odio: ecco perché, anche di fronte a semplici effusioni tra due amanti, si corre il rischio di essere arrestati o al minimo percossi.

Nei sette Stati a maggioranza islamica (Arabia Saudita, Iran, Nigeria, Mauritania, Pakistan, Somalia, Yemen e Afghanistan), i rapporti omosessuali vengono puniti con la morte. In Arabia Saudita, ad esempio, la pena più alta riservata agli omosessuali è l’esecuzione pubblica.

In altri Paesi a maggioranza musulmana, come il Qatar o l’Algeria, l’omosessualità è punita con il carcere, con pene pecuniarie o pene corporali. 

E noi? Dovremmo accettare tutto questo?

La risposta è davvero complicata e rischia di farci camminare su un campo minato.

Nonostante la maggior parte di noi sappia benissimo quanto l’omosessualità non sia una malattia mentale, che non esista un reato di “sodomia”, che l’amore sia libero e in linea con la natura umana, in alcuni Paesi del mondo tutti questi limiti permangono.

E’ davvero difficile stravolgere millenni di convinzioni, soprattutto se portati avanti dalla religione. Anche in Italia, ahimè, si assiste tutt’oggi a un difficile sradicamento di una cultura omofoba: quante volte leggiamo notizie di violenze contro gli omosessuali o storie di faide familiari nelle quali si fa guerra ai propri figli che fanno coming out, addirittura allontanandoli da casa.

Un compito davvero arduo modificare un sistema valoriale ed educativo di alcune famiglie, figuriamoci estirparlo da un intero mondo musulmano.

Dobbiamo quindi accettare tutto questo? Sì e no.

Cosa possiamo fare?

La nostra attenzione non andrebbe rivolta così lontano ai Paesi arabi (a meno che, ovviamente, non ci sia qualche dinamica della nostra vita che ci leghi a quella cultura), ma focalizzata sulla nostra comunità di appartenenza. Anche qui da noi, come detto, assistiamo a notevoli difficoltà. Iniziamo con il risolvere i nostri problemi, senza puntare il dito fuori i nostri confini.

Ricordate il versetto del Vangelo secondo Luca: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? […] Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio?” .

Nel nostro piccolo, a seconda del nostro ruolo nella società, dobbiamo e possiamo continuare a diffondere una cultura basata sull’integrazione, l’amore, un concetto di sessualità scevro da rigidi schemi preconfezionati, comunicare al prossimo l’importanza del rispetto reciproco.

Ci vorranno anni, forse secoli, per sradicare profonde convinzioni, soprattutto se di base religiose, da alcuni Paesi. Continuiamo dunque a dare il buon esempio, informando e sensibilizzando il prossimo.

Qualcosa sta già cambiando, anche se con piccoli passi. Dobbiamo continuare ad aver fiducia nell’umanità: i risultati, forse, li vedranno i figli dei nostri figli.

© A cura di Dott. Marco Magliozzi – Psicologo Bari

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